Giovanni Daghino

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Giovanni Daghino nasce a Torino il 29 dicembre 1924, dove studiò fino all’età di 13 anni. Nel 1938 il padre chiuse la società di costruzione edile di cui era titolare insieme al fratello e trasferì la famiglia a Casale Monferrato, dove prese in gestione tre cinema cittadini (il Moderno, il Politeama e il Mondial).

Giovanni frequentò a Casale la scuola superiore Leardi e si diplomò geometra nel 1943, in pieno conflitto mondiale. Svolse il servizio militare a Novi Ligure e finita la guerra rientrò a Casale. Lavorò per qualche tempo presso uno studio tecnico, poi il 1° novembre 1948 rilevò dal padre la gestione del cinema Moderno, retto poi fino al 30 giugno 2001.
Nel 1946 fu tra i fondatori dell’A.C.U. (Associazione Casalesi Universitari), di cui fu pure segretario fino al 1949, anno in cui fondò la Canottieri Basket, dove assunse la carica di dirigente responsabile fino al 1951. Per due anni dirigente dell’Asso-Cisl, poi nel 1957 entrò nella dirigenza della Junior, come vice di Pezzana, e l’anno dopo venne eletto presidente, rimanendo in carica fino al 1980.

Daghino ricevette un’investitura annuale, ma qualcosa sembrò cambiare, con l’organigramma societario che trovò una prima compiuta strutturazione attorno ad un Direttivo chiamato a prendere le decisioni più importanti. 

Dopo 21 stagioni, nel 1980, Daghino si dimesse da Presidente della Junior e uscì di scena così come vi era entrato: in punta di piedi e con la signorilità che ne contraddistinse la lunga militanza sportiva.

Il Presidente Giovanni Daghino, in occasione della stesura del Libro 50+1 riportò alla luce molti ricordi.

Allo spareggio di Milano contro l’Italsider Genova c’era davvero tantissima gente, tra cui parecchi giocatori del pluriscudettato Simmenthal. Seguii la partita seduto per terra vicino ad un canestro in compagnia di Adolfo Bogoncelli, proprietario del glorioso club milanese e diretto interessato alle nostre sorti, visto che il marchio Nutralgum faceva parte del suo Gruppo. Si esaltò per la rimonta e alla fine, nel tripudio generale, mi abbracciò, scherzando che ci avrebbe portato subito via Prigione, autore quel giorno di una prova maiuscola.

Volle sapere tutto della società e dei giocatori – allora non c’era la copertura mediatica che c’è oggi – e mi disse che la squadra era già buona e che, anche alla luce della comunanza di abbinamento, gli sarebbe piaciuto sviluppare una qualche forma di collaborazione con la Junior per la stagione seguente, per allestire una formazione ancora più forte, per lottare al vertice. Passata l’euforia del momento non ebbi più sue notizie. Dopo tre mesi mi telefonò annunciando, con sommo dispiacere, che la sua società aveva deciso per altri programmi, e non se ne fece più niente. Anche l’abbinamento Nutralgum svanì poche settimane dopo e ci sentimmo abbandonati. Però il nome della Junior Casale cominciò a circolare con insistenza nei salotti bene del basket italiano, e di quello milanese in particolare e qualche frutto lo raccogliemmo negli anni a venire.

La stagione del 1966 non fu facile per la Società casalese, soprattutto per quanto riguarda il problema della palestra “La società aveva solo dieci anni, non è che fosse vecchia, e con la Faema in parte sbagliammo anche noi. Ma la storia dell’impianto fu per tutti una palla al piede. Per comprendere quanto poco i politici casalesi di quegli anni credessero nella pallacanestro si può citare un episodio che accadde qualche stagione prima e che portò sul tavolo l’argomento palazzetto. Il pavimento della Leardi era di un materiale pressato particolarmente scivoloso, il tetto non del tutto impermeabilizzato e così era normale che si creasse della condensa tutte le volte che fuori pioveva. L’incredibile era che anche quando c’era grande umidità, era praticamente impossibile reggersi in piedi. C’era già chi premeva perché si intervenisse con opere di ristrutturazione, almeno di rifacimento della pavimentazione, anche perché in pratica in ogni gara si verificavano cadute che mettevano a repentaglio l’incolumità dei giocatori. Così accadde che durante una partita giovanile un ragazzo della Junior scivolò e si ruppe la caviglia.

Portai di persona la notizia del grave infortunio all’Ufficio dei Lavori Pubblici. Quando spiegai la dinamica dell’incidente all’assessore Accatino, uno dei più influenti esponenti politici di allora, la risposta in dialetto, fu sconcertante: «Dica ai suoi ragazzi di correre più piano». Fummo costretti per molti anni ad arrangiarci: il papà del nostro dirigente Dainese, titolare di un negozio di vernici, studiò un prodotto che, spalmato sul campo, ne migliorava la presa. Anche se non risolse completamente il problema. Quella frase comunque era esemplificativa di come un’intera classe dirigente fu per molti anni cieca di fronte alla crescita del basket e della sua portata per l’intera città. Il distacco tra una società ben organizzata e un’Amministrazione comunale a cui la pallacanestro non interessava nel modo più assoluto fece scappare la gallina dalle uova d’oro. E molte altre furono le occasioni gettate al vento negli anni successivi”.