Questione FIP, passaggio a livello o sovrappasso?

09.01.08 18:00

Tanta carne al fuoco e tanto su cui riflettere


Dire che il basket italiano sia in declino sia a livello di club, infatti da tempo l’Eurolega se la giocano Spagna, Russia , Grecia e il Maccabi,  che a livello di nazionali, con le medesime protagoniste, non è una gran novità.


Eppure sono ugualmente stranito. Diamine due italiani in Nba e un terzo, Gallinari, pronto a compiere un tale salto non si vedevano dai tempi di Esposito e Rusconi. Certo l’Nba ha strizzato molto di più l’occhio all’Europa e agli altri continenti ed è anche salito molto il numero delle franchigie e dei giocatori di cui ognuna deve disporre :


(30(franchigie) *14(giocatori in media)=420 professionisti).


 


A confondere ancora di più le acque la nuova normativa FIP che cade come spada di Damocle sulle teste dei poveri Chiacig e Co. colpevoli solo di essersi accostati al basket troppo tardi.


 Per chi non si è informato spiego brevemente ciò che sono riuscito a racimolare in giro sull’argomento: chiunque si accosti al basket in Italia deve militare per 4 anni in campionati giovanili FIP per essere considerato di formazione italiana o semplicemente, italiano. Ciò è molto interessante per regolamentare la presenza di stranieri aspiranti al titolo di Italiani. Molto corretto il fatto che Mazic, croato di nascita, classe 1993 della Fastweb visto contro Siena con il numero 0, debba stare 4 anni in Italia per poter essere Italiano. Decisamente inspiegabile che a qualcuno nato in Italia venga richiesta tale specifica. Se uno è italiano è italiano, punto.


Mi viene in mente l’esempio del nuoto, Peter Van Den Hogenband, recordman sui 100 stile ha giocato a calcio fino ai 16-17 anni di età,per poi accostarsi al nuoto. Non per questo egli non è riconosciuto come Olandese DOC dalla sua federazione.


 


Tutelare il posto degli italiani con numeri fissi o similari, come già trattato da Marco Crespi in Dazi e Gabelli, è poco utile.


Stimolante la proposta di campionati di B d’eccellenza e B2 con limiti di età, con i dovuti aggiustamenti, così da spingere i giovani in situazioni di gioco vere e continue, un NCAA all’italiana senza ricorrere per la spinosa strada dei campionati universitari, decisamente utopici.


Sicuramente tanta carne al fuoco su cui noi appassionati e gli addetti ai lavori possono ragionare.


 


 


Michele