Cammino e marchio
Estate, Gazzetta, Capello, Phil Jackson...con Marco Crespi
Gazzetta dello Sport.
Leggo un’intervista a Fabio Capello.
Non sono un grande appassionato delle interviste ai protagonisti del mondo del calcio. Pressione mediatica e luoghi comuni credo portino ad affermazioni scontate, passaggi quasi obbligati attraverso risposte che per gioco quasi potremmo indovinare. Ma Capello è oggi senza un incarico ed è Capello, uno che sa e può permettersi di dire quello che pensa. Domanda scontata su chi saranno le favorite del prossimo campionato italiano. Nella risposta parla -anche- del Milan dicendo “ambiente con tradizione e cultura del lavoro”.
Mi fermo.
Penso che quando un Club viene definito così, sia già una vittoria. La conoscono tutti quelli che vi entrano. Chi ne entra a far parte ha motivo di sentire certezze da quel punto di vista. E anche gli avversari lo sentono quando ti affrontano sul campo. Beh, penso alla frase di Phil Jackson “Conta più il cammino della meta”: credo che il cammino possa trovare esemplificazione anche nella cultura del lavoro citata da Capello.
“Non vedo l’ora di incominciare”, mi ha scritto uno dei miei collaboratori. Anche questa piccola frase e la voglia spontanea di trasmetterla è una sensazione vincente. Nei confronti di un gruppo di persone, ancora prima che di giocatori. La squadra di questa stagione è nata dalla conoscenza. Anche umana. I quattro reduci dalla passata stagione, i quattro (aggiungo anche Riccardo Coviello) che si sono conquistati (o meglio, hanno voluto conquistare) una maglia nel camp di giugno. Poi Donte Mathis (e lì oltre le sensazioni personali, si passa attraverso le parole, le fortissimi convinzioni del mio amico – anche mio ex assistente e campione d’Italia junior con la Benetton – Fabio Corbani, che me ne parlava in tempi non sospetti come una persona unica), Taquan Dean (un’immagine nella mia testa, occhi che illuminano il campo da basket per energia e voglia), Bernd Volcic (un nome di cui mi parlava Marco Atripaldi al mio arrivo a Biella; e quando nel mio lavoro con i Suns lo vidi di persona due volte a Parigi – mentre seguivo Pecherov – annotai “non dimenticarselo”). Insomma, squadra nuova. Ma costruita avendo come riferimento le caratteristiche umane. E non per sentito dire. Qualcuno potrebbe dire “ma è il campo che conta”. Certo. Assolutamente. Ma per “camminare” insieme, meglio conoscersi. Magari con motivazioni differenti, ma attraverso la stessa cultura. Mamma mia, non vedo davvero l’ora di incominciare.