Le V Nere, che storia!

27.04.17 18:30

15 scudetti, 8 Coppe Italia, 2 Coppe Campioni e un tiro passato alla storia: il passato, il presente e i campioni della Virtus Bologna, da domenica di fronte alla Junior


La sfida contro la Virtus Bologna mette Casale Monferrato di fronte a quella che è, per eccellenza, “LA” città della pallacanestro. “Basket City” non è un nickname casuale, per un capoluogo di regione che da sempre, quasi 100 anni, ha il basket nel suo sangue.

LA NASCITA – Per raccontare la storia della seconda squadra più titolata d’Italia dopo l’Olimpia Milano, bisogna infatti partire dal 1922, quando l’allora Società Ginnastica di Bologna, fondata nel 1871, divenne SEF Virtus (Società di Educazione Fisica), nella quale cinque ginnasti si trovarono a giocare a pallacanestro: De Luigi, Simoni, Padovani, Grigioni, Chiaffarelli fu di fatto il primo quintetto della squadra bolognese, che negli anni ’30 contribuì a far diffondere con enorme successo il basket nella Città delle due Torri.

Il primo trofeo della Virtus Bologna risale al 1934, con la vittoria del Campionato Nazionale di Prima Divisione: quella fu l’ultima partita che si giocò prima della Seconda Guerra Mondiale e portò allo stop di tutti i campionati agonistici. Le squadre ritornarono a calcare i parquet in competizioni ufficiali, quindi, nella stagione 1945/46, che vide le V Nere divenire Campioni d’Italia per la prima volta, cosa che fecero anche per le tre stagioni successive. 

Foto: Vittorio Tracuzzi (a sinistra) assieme al leggendario Avvocato Porelli

TRACUZZI, PETERSON E PORELLI – Nel 1955 fece la sua comparsa a Bologna un allenatore che qualche anno dopo rimarrà nella storia della Junior Casale: Vittorio Tracuzzi. Dopo aver portato la Virtus al titolo, Tracuzzi rimarrà a Bologna fino al 1960, per poi ritornarvi una seconda volta, dal 1970 al 1972, prima per l’appunto di raggiungere Casale.

Gli anni ’60 furono un decennio buio per la Virtus Bologna, che si risollevò nel 1973 quando sulla panchina arrivò un allenatore del calibro di Dan Peterson, piccolo e sconosciuto americano arrivato dalla nazionale cilena, che portò in campo carisma ed innovazione, e nella bacheca virtussina la prima Coppa Italia e il settimo scudetto.

Furono gli anni, quelli, in cui spiccò la figura dell’Avvocato Gianluigi Porelli, mantovano, entrato alla Virtus nel ’68, che rivoltò la Società facendola diventare un simbolo della pallacanestro italiana: Porelli, con il suo carisma e la sua capacità manageriale, diede un segnale a tutto il basket italiano, partendo dallo stile che impose alle Vu Nere e al campo in cui giocavano: il Madison di Piazza Azzarita, così ribattezzato per la somiglianza architettonica al Madison Square Garden, dove il popolo bianconero cominciò una pluriventennale “corsa all’abbonamento”.

LA STELLA – Un momento storico per la Società avvenne nella stagione 1983/84, quando con Alberto Bucci in panchina (oggi Presidente della Società), la Virtus Granarolo centrò lo scudetto della Stella: il decimo scudetto arrivò in una indimenticabile serie contro la Simac Milano, con tre vittorie in trasferta compresa l’ultima, firmata anche da un Roberto Brunamonti allora 25enne, e destinato a diventare un simbolo della storia virtussina.

L’EPOPEA MESSINA –  Sulla panchina della Virtus Bologna, come assistente di Bucci, c’era Ettore Messina, al suo primo anno a Bologna. Cinque anni dopo divenne capo-allenatore, nella stagione ’89-’90, facendo subito un doppio centro: con Michael Ray Richardson in campo, giocatore dal passato Nba tanto glorioso quanto complesso, e con una batteria di italiani come Claudio Coldebella, Vittorio Gallinari, Gus Binelli, la Virtus di Messina vince la Coppa Italia e vince il primo titolo europeo, una storica Coppa delle Coppe contro il Real Madrid di George Karl, nella finalissima giocata a Firenze.

DANILOVIC, IL PIU’ GRANDE – Messina lasciò la Virtus solo per una chiamata più importante: la Nazionale. L’addio, che si dimostrò essere un arrivederci, arrivò nell’estate del 1993, quando la Virtus portò nuovamente a casa, dopo 9 anni, lo scudetto numero 11. Protagonista di quella vittoria fu uno dei giocatori più forti mai nati in Europa: Predrag Danilovic, detto Sasha, aveva firmato 10 mesi prima un contratto milionario per diventare il leader tecnico delle Vu Nere, affrontate pochi anni prima nell’Euroclub che proclamò campione d’Europa il suo giovanissimo Partizan Belgrado. Fu il primo di una serie di clamorosi colpi di mercato di Alfredo Cazzola, imprenditore bolognese patron del Motor Show, che rilevò la Virtus affermandosi come il proprietario più vincente della storia bianconera. Danilovic fu il primo, ma così come richiamò Sasha a Bologna, dopo tre scudetti consecutivi (1993-1995) e due anni di NBA, richiamò anche Ettore Messina, dopo l’argento della Nazionale Italiana agli Europei 1997.

Un anno chiave, per la Società, è ovviamente il 1997-98. La corsa agli armamenti tra la Virtus e la Fortitudo, che in città e in Italia si era affermata grazie agli investimenti di Giorgio Seragnoli, portò a Bologna campioni di calibro universale: Danilovic, Zoran Savic, Rasho Nesterovic, Hugo Sconochini da una parte, affrontavano la sponda F di Carlton Myers, Gregor Fucka, Dominique Wilkins, David Rivers. Due delle squadre più forti mai costruite nel nostro campionato, e probabilmente in Europa, diedero vita a una stagione senza esclusione di colpi, con 10 derby tra campionato, Coppa Italia ed Eurolega, incontrandosi al momento cruciale in ogni competizione. Celebre, e passata alla storia, fu la serie di playoff di Eurolega, che mise di fronte Kinder e Teamsystem (gli sponsor dell’epoca) per qualificare una squadra italiana alla Final Four. L’indicibile tensione che si respirava tracimò in una deprecabile rissa, finita con 9 espulsi e un 5-vs-3 finale in campo. Vinse la Virtus, che bissò pochi giorni dopo in Gara 2.

Se il catch trionfò sulla pallacanestro, in quell’occasione, la storia doveva ancora compiersi. E si fece in finale scudetto, quando le squadre si ritrovarono ingaggiando una serie memorabile, forse irripetibile, con 4 vittorie in trasferta nelle prime 4 partite e un equilibrio totale che durò fino al supplementare di gara 5. E’ come la Virtus ci arrivò, a quel supplementare, ad aver segnato per sempre la Storia del Club, e probabilmente anche quella della Fortitudo. Sotto di 4, a 17” dalla fine, Sasha Danilovic, sempre lui, ancora lui, il cobra dei momenti cruciali, infila un tiro da tre punti con fallo (ribattezzato nei secoli dei secoli il “Tiro da 4”) pareggiando la partita e portandola all’overtime. Dove domina, con le caviglie a pezzi, trascinando la Virtus al 14esimo scudetto.

L’ESPLOSIONE DI GINOBILI – Quando Danilovic si ritirò, all’alba della stagione 2000-2001, la Virtus aveva cambiato fisionomia, e gettato le basi per un nuovo ciclo vincente. Cazzola vendette il Club a Marco Madrigali, imprenditore locale nel ramo delle licenze per videogame, che aveva fatto una clamorosa fortuna e infine deciso di entrare in maniera dirompente nella pallacanestro. Ingaggiò, dopo il primo scudetto della Fortitudo, Marko Jaric – scoperto proprio dall’Aquila -, Rashard Griffith, all’epoca miglior centro d’Europa, Matjaz Smodis, destinato a diventare uno dei lunghi più forti e vincenti del continente, ma soprattutto un campione argentino di 23 anni, arrivato da Reggio Calabria: Emanuel “Manu” Ginobili. Il ritiro di Danilovic consegnò di fatto il testimone a Manu, che partì da una gara di Eurolega con un solo punto a referto fino ad essere nominato MVP di ogni competizione. E’, infatti, l’anno del Grande Slam virtussino: la Virtus vinse Coppa Italia, tornò sul trono d’Europa vincendo l’Eurolega (in gara 5 sul Tau Vitoria) e centrò il suo 15esimo e ultimo Scudetto, travolgendo la Fortitudo di Myers e Meneghin in finale 3-0.

IL CROLLO – Gli effetti di quelle spese pazzesche si sentirono di lì a poco. Alcuni mesi dopo, l’ingaggio di Sani Becirovic fece sensazione in Europa: era il miglior prospetto del continente, e andava a rinforzare un gruppo già clamoroso. La stagione, di difficile gestione, portò a una frattura inspiegabile tra il patron Madrigali ed Ettore Messina, che portò al clamoroso esonero del coach. L’insurrezione del pubblico, il giorno dopo, forzò Madrigali a tornare su suoi passi, ma il clima si era guastato definitivamente: la Virtus riuscì a portare a casa la Coppa Italia, battendo il Montepaschi Siena, ma perse in casa la Finale di Eurolega contro il Panathinaikos di Bodiroga e Obradovic e uscì in semifinale in campionato, per mano della Benetton che poi vinse lo scudetto. Lo strascico emotivo della stagione portò alla separazione con Messina, ma anche con tutto il vecchio corso virtussino, di cui rimasero i soli Rigaudeau e Smodis. L’infortunio a Sani Becirovic scoprì il velo sul dissesto economico che si celava dietro gli investimenti faraonici di Madrigali: sommersa dai debiti, al termine della stagione 2002-2003, la Virtus infatti fu esclusa dal campionato.

DA SABATINI ALLA RETROCESSIONE – A rimetterla in piedi ci pensò, in un’estate pazza, un geniale ed eccentrico imprenditore bolognese, Claudio Sabatini. Prima trovando le transazioni con tutti i creditori, poi acquisendo il Progresso Castelmaggiore, società dell’hinterland bolognese salita addirittura in A2, ridiede un’anima alla Vu Nera e al suo pubblico, riunito sotto lo stesso simbolo e riottenendo nome, bacheca e codice Fip nella stagione successiva, quella del ritorno in A (2004-2005). Gli anni successivi vedranno la Virtus destreggiarsi molto bene nella massima Serie, arrivando in Finale Scudetto nel 2007 (con Zare Markovski in panchina e Brett Blizzard e Fabio Di Bella in campo) e vincendo anche una Coppa Europea, l’EuroChallenge, nel 2008-2009, guidata da Matteo Boniciolli e da campionissimi come Earl Boykins, Petteri Koponen e Keith Langford. Nel luglio 2012 il cambio ai vertici, con la neonata Fondazione Virtus acquisisce il controllo della Società di basket e termina l’era Sabatini. Due campionati molto mediocri (14esimo e 13esimo posto), tanti giocatori e allenatori cambiati, pur con una qualificazione ai Playoff nel 2014-15, sono il prodromo di una retrocessione che arriva un anno fa: il 4 maggio del 2016, la Virtus Pallacanestro Bologna retrocede sul campo in Serie A2. Il campionato in cui aveva giocato – dopo la fusione con Castelmaggiore – ma in cui non era mai retrocessa.

Oggi, con l’ingresso di un title sponsor dalle clamorose potenzialità (caffè Segafredo Zanetti), la Virtus ha subito dominato la Regular Season del girone Est, chiudendo al secondo posto. Ma gettando le basi per un pronto ritorno in Serie A: alla Novipiù, in questa serie, il compito di metterle i bastoni tra le ruote.

I PRECEDENTI CON CASALE – Sono solo due i precedenti con Casale e risalgono alla stagione in cui la Novipiù militava in Serie A. Entrambe le sfide furono conquistate dalla Virtus Bologna: i rossoblu, infatti, furono sconfitti sia a Bologna (70-62, Shakur 20) che al PalaFerraris per 77-80 (Minard 17)

I GRANDI EX – Guardando la storia della Virtus Bologna, oltre a Vittorio Tracuzzi, ci sono anche tre giocatori che prima di giocare sotto la Torre di Santo Stefano furono impegnati con le V Nere: Niccolò Martinoni, Fabio Di Bella e Brett Blizzard. Se per il Capitano della Novipiù si tratta solo di una breve esperienza, per Dibo e Brett non fu così.

Di Bella, infatti, rimase alla Virtus Bologna per tre anni conquistando il terzo posto in Fiba Eurocup e chiudendo la sua avventura con 8.3 punti di media (record di 22 punti segnati nella stagione 2005/06) e 1.9 assist di media (record di 8 assist nel 2005/06). Blizzard, invece, rimane a Bologna per 4 anni vincendo l’EuroChallenge nel 2008/09 e andando via con una media punti di 7.6 (record di 23 nella stagione 2007/08). Il caso vuole che i due rossoblu giocarono insieme ben due stagioni, nel 2006/07 e nel 2007/08, prima che Di Bella passasse all’Olimpia Milano.