Er Pigna, Frascati e quel treno per Riva
Emanuele Rossi si racconta ad Alice Pedrazzi per Alic'è
PalaFerraris. Un martedì sera qualunque, primo giorno di allenamento della settimana. La Junior ha concluso la sua seconda seduta giornaliera, i ragazzi se ne vanno verso lo spogliatoio. Ma non tutti. C’è n’è uno che sta tirando una serie infinita di tiri liberi. E fa quasi sempre canestro. E’ “Lele” Rossi. Nooo… aspettavamo proprio lui per l’intervista… Inevitabile, dunque, quando finalmente ci raggiunge, la prima domanda.
Lele, ti sei fermato ad allenarti sui liberi perché spesso, in partita, capita che sbagli?
Soprattutto perché ancora non posso scodare quelli sbagliati a Jesi: 0/2 in un momento importante della gara. Meno male che poi abbiamo vinto, altrimenti sai che rimorsi?
Ecco perché ti chiamano “il Gladiatore”: in campo lotti con la forza e l’animo di un antico guerriero e durante la settimana lavori senza risparmio per farti trovare pronto alle battaglie. Confermi?
Mi piace dare il massimo, in ogni situazione. Ed essere utile alla squadra. So che per giocare in questa categoria devo ancora lavorare molto o, come ha detto con una battuta il nostro coach: “mangiare ancora tanto pane”. Ma a me il pane piace. E non ho paura di far fatica, son qui per lavorare. In campo, quando sono chiamato a dare il mio contributo… non mollo mai! Lo si è potuto apprezzare nella durissima battaglia di Jesi, quella che ha dato il la alla striscia positiva della Junior, la prima delle tre vittorie consecutive. Nelle Marche il coach mi ha lasciato sul parquet a lungo, la partita era tosta e tirata, anche dal punto di vista psicologico. Volevo assolutamente rendermi utile alla squadra.
E l’hai fatto, lottando fra i giganti alla pari, annullando a tratti un fuoriclasse come Maggioli e portando in dote anche 5 rimbalzi.
Già, ma quei due tiri liberi sbagliati… Scherzi a parte, sono felice per quella gara. Attorno a me sento la fiducia dell’ambiente, e questo sicuramente aiuta. In campo, lo so bene, ci sono delle gerarchie e vanno rispettate. Guai non fosse così: la squadra vagherebbe nel caos. Però, all’interno di queste, continuerò sempre a lavorare forte per dare il mio contributo.
Lele, scaviamo un po’ nel tuo passato…
Sono nato a Roma 25 anni fa e sono un gran romanista. Al basket sono approdato per caso, iniziando tardi, a 15 anni, nel campetto dell’oratorio. In casa mia nessuno ha mai giocato: ho un fratello, più grande, che ha fatto judo per molti anni ed è stato anche vice campione italiano. Ma la pallacanestro mi è entrata nella pelle, così dall’oratorio sono andato a Frascati, dove ho iniziato a giocare in C2.
Finalmente abbiamo svelato il segreto: ecco perché tutti ti chiamano il “Pivot di Frascati”… Lasciamo perdere. E’ una cosa che non sopporto! Io sono nato e vissuto a Roma e, insomma, diciamolo: c’è una bella differenza!!!
Quando hai capito che il basket poteva diventare una parte importante della tua vita, addirittura la tua professione?
Il 3 agosto del 2002.
Evviva la precisione storica! Cos’è successo quel giorno?
Ho fatto fagotto e ho lasciato la famiglia, gli amici, la mia città per andare a giocare a 6 ore da casa, a Riva del Garda, in B1. In quel momento ho realizzato che non era più il caso di scherzare, che questa avventura andava vissuta con impegno e passione, buttandoci tutte le energie, fisiche e mentali di cui disponevo.
Sulle rive del lago sei rimasto 3 anni, giocando sempre più e incontrando anche l’amore.
E’ vero, ho conosciuto Layla, la mia ragazza, proprio là. Però, per fortuna, quest’anno si è trasferita a Milano per studiare, così siamo un po’ più vicini. In ogni caso, l’esperienza di Riva è stata molto positiva anche dal punto di vista cestistico, non solo sentimentale: sono cresciuto molto tecnicamente e anche fisicamente sono migliorato.
Al punto tale che hai deciso di fare il salto di categoria e nel 2005 sei andato a Rieti, per il tuo primo anno in LegaDue.
Ma, in pratica, non mi sono mai alzato dalla panchina. Però è stato un anno utile: ho capito quanto spirito di sacrificio e forza di volontà ci vogliano per emergere in questo, come in tutti, i lavori. E poi ho avuto la fortuna di avere accanto dei compagni di squadra fantastici, che mi hanno sempre aiutato e fatto star bene, primo fra tutti Cristiano (Fazzi, ndr).
L’anno scorso, però, in B1 alla Virtus Siena ti sei sfogato: 33 minuti, 13.5 punti e 12 rimbalzi a partita. Cifre che ti sono valse il titolo di miglior lungo del campionato.
E’ stato un bell’anno, in cui mi sono tolto molte soddisfazioni. Però non mi sono mai sentito appagato: cerco sempre di migliorare e crescere, perché investire su se stessi è la cosa migliore che si possa fare.
Ed eccoti alla Junior: squadra bella ed ambiziosa.
Quest’estate ho valutato molto attentamente la mia scelta, confrontandomi con la famiglia e gli amici. Ma non ho avuto dubbi: Casale, per la serietà della società, il valore dell’allenatore ed il calore dell’ambiente era senz’altro la cosa migliore che potesse capitarmi.
Qual è il bilancio di questi primi mesi?
Mi sento parte della squadra, sento la fiducia di compagni, allenatori e ambiente. Poi, ripeto, lo so che devo ancora migliorare tanto per guadagnarmi spazio. Ma questo non mi spaventa: l’allenamento è la parte fondamentale del nostro lavoro. Lo affronto quotidianamente con voglia ed entusiasmo. Anche se devo ammettere che all’inizio, in precampionato è stata dura: tutto era nuovo, i ritmi di lavoro erano tosti. E Marco è un coach molto, molto esigente: lavora con precisione, e passione, su ogni minimo dettaglio.
All’esordio, a Livorno, tutte le difficoltà sembravano dissolte. 11 punti e 5/6 dal campo, una prestazione da non dimenticare?
Quella di Livorno è stata una serata magica. Per la squadra, perché iniziare vincendo è sempre bello, e per me: Crespi mi ha dato fiducia ed io sono riuscito a ripagarla. Ma il merito è anche dei mie compagni, bravi a cercarmi e coinvolgermi nei momenti giusti. Dopo la partita, sul pullman mentre tornavamo a casa, il mio telefonino è letteralmente esploso tra chiamate e sms di amici che volevano farmi i complimenti. Quella gara resterà sempre una bella pagina di questo campionato, ma è una pagina già scritta. Ora non ci penso più: ce ne sono tantissime altre bianche da riempire.
Come le vorresti colorare?
Con tante vittorie. E poi il mio primo canestro su azione al PalaFerraris: spero arrivi presto!
L’ultima curiosità: perchè giochi proprio col 17?
Quando sono arrivato a Frascati, ci hanno dato le maglie da scegliere, ma erano già stampate e le taglie grandi avevano tutte i numeri oltre il 10. Io scelsi subito il 20, ma poi “Er Pigna”, mio compagno di allora e grandissimo amico di oggi, me lo chiese: lo diedi a lui e a me non rimase altro che il 17.
Dalla scelta del numero di maglia in poi, dunque, emerge la generosità del “Gladiatore”, caratteristica predominante di Rossi, che in campo ed in allenamento gioca sempre con grinta, cuore ed orgoglio.